sabato 20 gennaio 2007

Il Messaggero di Sant’Antonio intervista Fiorella Arrobbio Piras direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura di San Paolo del Brasile

Moltiplichiamo le antenne culturali
Le iniziative del 2007: grandi eventi, musica e il bicentenario della nascita di Garibaldi

INFORM - N. 7 - 10 gennaio 2007
SAN PAOLO - Sembrano lontani un secolo – e invece sono passati solo pochi lustri – i tempi in cui negli Stati Uniti ci chiamavano «macaroni». Quel termine la diceva tutta sulla scarsa considerazione di cui godevano gli italiani nel Paese a stelle e strisce: rozzo, poco acculturato e incline alla delinquenza. Era l’identikit dell’italiano medio. Eravamo conosciuti – inutile negarlo – per essere il Paese della pizza, del mandolino, della tarantella e… della mafia. Non molto edificante, per la verità.

Poi, negli ultimissimi decenni, è accaduto qualcosa di straordinario. I «macaroni» si sono trasformati quasi per magia nella salutare dieta mediterranea, osservata dai divi di Hollywood e dagli uomini d’affari di Wall Street; i nostri vini, assieme all’aceto balsamico, all’olio di oliva e al Parmigiano, hanno trovato posto nelle più esclusive boutiques di tutto il mondo; le grandi firme della moda come Armani, Valentino, Versace, Bulgari e Trussardi si sono imposte scalzando definitivamente cognomi prima altrettanto «famosi» come quelli di Al Capone o di Lucky Luciano; le arie d’opera di Puccini, Rossini e Verdi sono diventate popolari almeno quanto O sole mio, grazie all’enorme popolarità di Luciano Pavarotti e di Andrea Bocelli. Per non parlare del marchio Ferrari.

Insomma l’Italian Style, il nostro stile di vita è diventato un vero modello di riferimento dall’Asia alle Americhe, dall’Australia al Vecchio Continente.

Il merito della prepotente e rapida affermazione a livello planetario di tutto ciò che è made in Italy lo si deve in primis ai nostri connazionali e oriundi che vivono nei cinque continenti; ma anche agli Istituti Italiani di Cultura sparsi nel mondo, che con le loro attività hanno saputo soppiantare quell’immagine stereotipata del nostro Paese che non rendeva certo giustizia all’Italia e agli italiani.

Fra questi promotori del nostro Paese nel mondo c’è una manager culturale che da quasi trent’anni (in Europa, in Corea del Sud e, ultimamente, in America Meridionale), è una delle più entusiaste e attive ambasciatrici della cultura italiana.

Stiamo parlando di Fiorella Arrobbio Piras, alla quale il Ministero degli Esteri ha recentemente affidato l’incarico di promuovere la cultura italiana in Brasile.
Un compito, in verità, molto impegnativo se solo pensiamo alle enormi dimensioni territoriali di quello che viene considerato uno «stato-continente».

Poche settimane di ambientamento in Brasile, e già Fiorella Piras ha fatto vedere di che pasta è fatta: è riuscita a portare in Mato Grosso, nel cuore del Brasile, due gruppi italiani di musica classica di fama internazionale: l’Athestis Chorus, con un repertorio barocco, e l’Ensemble d’Archi Duomo, con un programma di musiche da film, vincendo asperità logistiche di non poco conto e una certa diffidenza da parte di molti. Risultato: un’enorme accoglienza e un grande successo. Inatteso e insperato.

«A memoria d’uomo – ci dice la dottoressa Piras con giustificato orgoglio – era la prima volta che dei gruppi di musica classica arrivavano fin laggiù. Vede, per me il Brasile rappresenta veramente una sfida. E io sono pronta a vincerla».

San Paolo, cuore economico del continente sudamericano da dove Fiorella Piras coordina tutte le attività per il Brasile, sembra averla conquistata al primo sguardo: «È una città unica; trasuda gioia di vivere, energia vitale di giorno e di notte, curiosità. Non credo che si possa provare verso San Paolo un sentimento di indifferenza. O la si ama o la si odia. Io la amo perché mi ha particolarmente colpito la dinamicità della vita dei paulistani che si riflette grandiosamente in tutte le manifestazioni».

Se in Italia chi si occupa di cultura deve fare i conti con i consistenti tagli ai finanziamenti pubblici, immaginiamo che la situazione non sia diversa, fuori dai confini nazionali, per gli Istituti Italiani di Cultura.

«Nota dolens, anzi dolentissima – risponde Piras con un sorriso amaro –.Ma il problema è aggravato dal fatto che tutti i possibili interlocutori brasiliani (e non) si aspettano l’invio, da parte italiana, di eventi culturali di altissimo livello, completamente senza oneri. È la vecchia filosofia dell’assistenzialismo, anche culturale, molto dura a morire. Bisogna rendersi conto che interventi di tale tipo non vengono realizzati nemmeno dai Paesi tradizionalmente più ricchi che comunque sono presenti sulla scena culturale brasiliana, in modo sporadico e non sempre incisivo. Quello finanziario è dunque un grosso problema, reso ancora più drammatico dagli ultimi, recentissimi tagli. Ma i soldi, dico io, sono un problema “tecnico” risolvibile se esiste il contributo umano, politico e finanziario di tutte le parti interessate a realizzare eventi comuni. In questo senso sono molto ottimista».

Se lei avesse carta bianca per un grande progetto culturale in Brasile, cosa le piacerebbe realizzare?

Mi piacerebbe, prima di tutto, poter «installare» antenne culturali in tutto il Brasile, in corrispondenza dei principali Consolati, attraverso le quali irradiare corsi di italiano ed eventi. Antenne che si attivino, come già facciamo noi, anche nel fund raising. Si tratterebbe, però, di inviare dall’Italia del personale ad hoc, ma con i tempi che corrono.

Continuando a sognare, mi piacerebbe realizzare una grande tournée dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, magari con il Balletto. E che dire poi di un tour di Eros Ramazzotti e Laura Pausini in compagnia di famosi artisti brasiliani? Va bene i programmi «eruditi», ma non dobbiamo mai dimenticarci delle giovani generazioni che vedono nella musica pop espressioni artistiche di grande significato.

Per il 2007 che cosa bolle in pentola?

Le linee programmatiche alle quali debbono attenersi gli Istituti Italiani di Cultura sono indicate dal Governo e sono pertanto di tipo politico. Un’apposita Commissione Nazionale per la Cultura, presieduta dal Ministro degli Esteri, fornisce precise indicazioni, per esempio, anche riguardo all’anno tematico.

Nel 2007 ci si dovrà occupare di Giuseppe Garibaldi così come il 2005 era stato dedicato a Mazzini. In tanti anni di lavoro, posso dire con sicurezza che non sono mai venuti meno, a livello governativo, certi principi generali che ritengo indispensabili: quello di operare nell’ambito del sistema-Paese; quello di puntare su grandi eventi piuttosto che su manifestazioni minori; quello di collaborare strettamente con enti e strutture locali che meglio hanno il polso delle reali necessità locali. I risultati di questa politica culturale, almeno a San Paolo, si contano in numeri: nel 2006 la mostra su Giorgio Morandi alla Pinacoteca di Stato ha richiamato 10 mila visitatori; 15 mila la Mostra «Arte che cammina» sulla nostra tradizione calzaturiera; altrettanti per «Luci e Ombre nel Rinascimento e nel Barocco». E poi abbiamo proposto concerti di musica classica e jazz, abbiamo partecipato ad importanti Festival, abbiamo promosso rassegne di cinema italiano, ecc. Tutti eventi di spicco che hanno coinvolto direttamente il pubblico brasiliano.

In Brasile vivono 30 milioni di oriundi italiani. Che tipo di italianità e quanta «voglia d’Italia» ha potuto riscontrare in loro?

L’argomento meriterebbe una tesi di laurea. Interesse per il nostro Paese, ne percepisco tantissimo. Ma per quale Italia? Quanto italiano, inteso come lingua, si conosce veramente? Quanta cultura italiana è radicata, e come si è stratificata?

Il Brasile è un Paese multietnico e multiculturale che, mi pare, ha metabolizzato una serie di problemi socio-culturali che l’Italia sta cominciando solo ora ad affrontare. Gli italiani in Brasile e i loro discendenti sono italiani molto speciali in quanto vivendo, lavorando, operando nella realtà brasiliana, assommano due realtà: quella italiana e quella del Paese che li ospita, magari da generazioni. Da questa tensione positiva nasce una curiosità e un desiderio di riappropriarsi della propria italianità che va ad arricchire lo spirito e la cultura di chi è nato o si è radicato in questo Paese.

Tuttavia in questo processo io sono convinta che non bisogna mai perdere di vista l’importanza dell’apprendimento della lingua italiana che ritengo propedeutico a qualsiasi forma di cultura. (Paolo Meneghini-Messaggero di sant’Antonio, edizione italiana per l’estero/Inform)

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