martedì 1 maggio 2007

I molti traslochi della politica estera italiana

risponde SERGIO ROMANO

Corriere della Sera, 15 aprile 2007
Conoscendo il mio entusiasmo per il mondo diplomatico internazionale, accresciutosi dopo un tirocinio post laurea presso il ministero degli Esteri, un amico mi ha regalato un libro del Quai d' Orsay che valorizza le successive sedi della casa madre della diplomazia francese, nonché un analogo volume del Foreign Office. Nulla ho rinvenuto in Italia sul rapporto tra la diplomazia nazionale e le assai ben più prestigiose sedi che a Torino (Segreterie di Stato in Piazza Castello), Firenze (Palazzo Vecchio) e Roma (la Consulta, Palazzo Chigi, Villa Madama, la Farnesina) l' hanno ospitata. Potrebbe spiegarmi, le ragioni di tale disattenzione? miche.binci@tin.it

Caro Binci, davvero lei ignora l' esistenza di un libro che fa esattamente ciò che le sembra così desiderabile? Fingerò di credere alla sua disattenzione e cercherò di descriverlo. Il libro s'intitola «Dove la diplomazia incontra l'arte», è stato curato da un intelligente diplomatico, Ugo Colombo Sacco di Albiano, ed è una lunga carrellata storico-artistica attraverso i palazzi che hanno ospitato il ministero degli Esteri italiano dalla costituzione del Regno a oggi. I diplomatici hanno sempre scelto, per se stessi, i palazzi più belli delle loro capitali e li hanno sempre riempiti di quadri, arazzi, bronzi, argenti, porcellane. Il ministero degli Esteri è il salotto buono del Paese, il luogo da cui l'ospite straniero deve trarre la migliore delle impressioni possibili. Bisognerà quindi arredarlo con lusso, evitare se possibile di chiamarlo semplicemente «ministero» (un termine troppo burocratico) e dargli un nomignolo allusivo, confidenziale, una specie di strizzatina d' occhio a coloro che fanno parte della stessa corporazione. In Francia si chiama Quai d' Orsay, a Berlino durante il Secondo Reich e la Repubblica di Weimar si chiamava Friedrichstrasse, in Spagna Palazzo Santa Cruz, in Gran Bretagna Foreign Office. Persino il Dipartimento di Stato americano ha un nomignolo ironico: viene chiamato Foggy Bottom, fondo nebbioso, dal nome del vecchio quartiere di Washington in cui è sorto e forse dallo stile del linguaggio diplomatico. Incidentalmente, anche il Dipartimento di Stato, benché alloggiato in un edificio moderno piuttosto anonimo, ha un intero appartamento arredato con mobilio americano dell' epoca detta «colonial» (1750-1825). Da noi, grazie alle peregrinazioni della capitale e alle vicissitudini della politica italiana, il ministero degli Esteri ha preso il nome dei diversi palazzi in cui ha avuto sede. Colombo Sacco ci ricorda che è stato «palazzo delle Segreterie» quando era in Piazza Castello a Torino fino al 1865. È diventato «Palazzo Vecchio», fra il 1865 e il 1870, quando decise d' installare i suoi uffici nell' austera costruzione di piazza della Signoria a Firenze (castello e fortezza più che semplice palazzo) che Cosimo I aveva utilizzato come residenza ducale prima di trasferirsi a Palazzo Pitti. È stato «la Consulta» quando, dopo la presa di Roma nel settembre 1870, decise di occupare il palazzo che Ferdinando Fuga aveva costruito a un passo dal Quirinale per il tribunale d' appello dello Stato pontificio (oggi è occupato dalla Corte costituzionale). È stato «palazzo Chigi» quando Mussolini, ministro degli Esteri del suo primo governo, s' impadronì di quella che era stata sino al 1918 la sede dell' ambasciata d' Austria presso il Quirinale. I guai per la diplomazia italiana (una specie di shock culturale) cominciarono nel 1959 quando il ministero dovette lasciare Palazzo Chigi alla presidenza del consiglio e trasferirsi in una costruzione di 720.000 mq, larga 169 m e alta 51, che gli architetti Del Debbio, Foschini e Morpurgo avevano ideato per la gigantesca sede del Partito nazionale fascista in una zona paludosa dove fino a qualche anno prima «si andava con gli stivali e qualche volta in barca a caccia di beccaccini». Per superare lo shock fu deciso di attribuirgli un nome elegante (la vera Farnesina è quella costruita da Baldassare Peruzzi sulla riva destra del Tevere, dove ha sede oggi l' Accademia dei Lincei) e di fare dei suoi saloni di rappresentanza una sorta di museo dell'arte moderna italiana degli ultimi decenni. Lascio al lettore di questo bel libro giudicare in quale fra le sedi amorevolmente descritte da Colombo Sacco la politica estera italiana sia stata meglio alloggiata.
Romano Sergio

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