mercoledì 13 giugno 2007

Marsiglia. Quando l’Italia è “terribilmente alla moda”

di Andrea Di Nino

Fulvia Veneziani, Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia


Italia Vostra, Il portale degli italiani all'estero, 8 giugno 2007
È sempre un piacere parlare con persone che fanno con passione il proprio lavoro. Ed è confortante vedere che quando si mette amore nel proprio mestiere i risultati arrivano. È il caso dell’Istituto italiano di cultura di Marsiglia e della dott.ssa Fulvia Veneziani che lo dirige. Una realtà che negli anni è riuscita a ricavarsi uno spazio concreto nel tessuto sociale e culturale della città per diventare utile punto di riferimento culturale non solo per la comunità italiana ma anche per i francesi e per chiunque nutra curiosità e interesse per tutto quello che, culturalmente, “fa Italia”.
Perché, e certo non nuoce ricordarlo, anche in Francia l’Italia e l’italianità sono tornate ad essere “terribilmente alla moda”.

Intervista alla dott.ssa Fulvia Veneziani, direttore dell'Istituto italiano di cultura di Marsiglia

Gli Istituti italiani di cultura. Come ci si arriva e come si arriva a dirigerne uno?
All’interno del ministero degli Esteri esiste l’area della promozione culturale. È un’area numericamente molto ridotta: conta circa 220 persone, molte delle quali vicine al pensionamento, deputate a svolgere le funzioni di addetto e di direttore all’estero per i periodi stabiliti secondo le convenzioni sindacali. In linea di massima stiamo nove anni all’estero, in almeno due sedi (ma eventualmente anche tre). In seguito un passaggio tra i due e i quattro anni di nuovo al ministero per poi ripartire ancora. Questa è, in estrema sintesi, la “carriera” della promozione culturale. Attualmente si arriva a dirigere un Istituto esclusivamente per concorso. Dico attualmente perché in tempi ora molto lontani ci si poteva arrivare anche per altre strade e senza concorso ma quanto meno con una laurea o dopo un’esperienza nell’insegnamento. Insomma i “meriti culturali” avevano il loro peso.

Il suo percorso?
Sono laureata in lingue e letterature straniere e ho due abilitazioni: francese-lingua straniera e francese-letteratura e lingua straniera. E ancora, un corso di formazione professionale con a una borsa di studio di quindici mesi in Francia alla Direzione dei progetti culturali. Poi ho partecipato al concorso di reclutamento nel 1985, a quei tempi però aperto solo a chi fosse già titolare di cattedra all’interno della pubblica istruzione per andare “a disposizione” presso il ministero degli Esteri per un certo periodo di tempo. Poi nel 1990 è venuta la legge 401/90 che ha cambiato le cose e che quindi ha assorbito il personale degli Istituti italiani di cultura all’interno del ministero. Chi era in servizio ha avuto il diritto di fare un altro concorso per decidere se voleva essere assimilato al ministero degli Esteri o ritornare alla pubblica istruzione. Questo il mio iter personale, nell’ambito del quale sono stata addetta a Tunisi due anni, a Lione sette anni, quattro anni alla direzione generale per poi ripartire di nuovo con i sei anni (che si stanno concludendo adesso) a Marsiglia e i tre che farò a Tunisi. Sono in partenza.

Laborioso...
Sì, non è un percorso semplice. Il direttore di un Istituto di cultura è, per la stessa natura del ruolo che riveste, “costretto” a toccare tutti gli argomenti che riguardano la cultura, la promozione e la diffusione dell’italiano e dell’immagine dell’Italia. Personalmente posso dire che dirigo questo Istituto come un centro culturale. E in questo non posso non sentirmi privilegiata rispetto a tanti altri colleghi perché ho una sede che me lo permette, ho a disposizione una sala teatro e una sala mostre. Cose sulle quali non tutti gli Istituti possono far conto. Resta però il fatto che, per esempio, un direttore di teatro o di un’accademia musicale è specializzato in qualcosa di ben preciso e quindi quando organizza un evento, uno spettacolo, ha sempre più o meno lo stesso tipo di contatti, conosce perfettamente il milieu, le persone, può far conto su una competenza altamente specialistica che gli viene da una mirata esperienza professionale in un determinato settore. Invece noi, nell’ambito degli Iic, facciamo praticamente tutto e dobbiamo di volta in volta ricominciare – spesso ex novo - con i contatti a seconda dei vari eventi. Questa è una delle difficoltà. L’altra è che i finanziamenti non bastano mai, e quindi diventa necessario andare a cercarsi delle sponsorizzazioni e fare cose “in casa” per qualcuno anche difficili a credersi. Voglio dire, a me capita anche di rispondere al telefono o di andare ad aprire la porta. Ecco, la difficoltà sta nella molteplicità dei compiti. E le strutture non sempre adeguate dal punto di vista finanziario e di personale. È soprattutto una questione di passione.

Con quali istituzioni vi relazionate (e in che modo) nel paese che vi ospita?
Ovviamente con la rete culturale locale, ma non solo. Il raggio d’azione dell’Iic di Marsiglia è immenso. Va dalle Alpi, perché Nizza fa parte della circoscrizione, o anche Tolone, Montpellier, Avignone fino a Tolosa. E la Corsica. La maggior parte delle attività viene comunque organizzata a Marsiglia, nelle altre città sono più episodiche. Per quanto riguarda gli enti locali, ho buone relazioni con i teatri, con gli organizzatori musicali in diversi settori, con il Centro di poesia e con alcuni musei. Credo che doti fondamentali per essere un buon direttore d’Iic siano intelligenza e disponibilità a farsi consigliare quando necessario da esperti locali che hanno senza dubbio “il polso” della situazione culturale meglio di chiunque altro. Faccio un esempio. Come Istituto italiano di cultura abbiamo una relazione che dura ormai da anni con Le Cri du Port, un’associazione musicale che si occupa esclusivamente di jazz. Quando si tratta di organizzare un evento jazz o quando ci perviene qualche proposta al riguardo è a loro che ci rivolgiamo. Ho relazioni privilegiate con persone che dirigono strutture specializzate in diversi campi e quando ci viene presentato un progetto che tocchi questi campi in genere li interrogo sulla sua validità. Mi confronto con loro. La mia idea è di non venire qui o in qualsiasi altro Istituto a portare quello che io penso debba essere portato, ma di interagire il più dinamicamente possibile con la comunità.

Le principali funzioni di un Istituto di cultura?
Da un lato rispondere alle domande locali, del territorio, dall’altro, per esempio, arrivando qui a Marsiglia ho trovato il cinema contemporaneo italiano in una situazione catastrofica, non c’erano sale disposte ad accoglierlo. E in quel caso sono stata io stessa a provocare una domanda. Mi sono messa a lavorare sul cinema italiano: come ho detto, abbiamo la fortuna di avere una cabina di proiezione e ogni anno ho messo su almeno una o due rassegne di cinema italiano contemporaneo. Il risultato? Finalmente a sei anni di distanza comincia a vedersi un po’ di cinema italiano anche qui nelle sale cittadine. Il compito dell’Iic come lo intendo io può essere riassunto in due aspetti complementari: rispondere – certo, oculatamente – alla domanda locale e suscitarla per quei settori che non sono presenti o che non godono più di buona fama com’era il caso del cinema italiano contemporaneo.

La lingua italiana. Chi la studia e per quali ragioni?
Quando sono arrivata avevamo corsi di lingua frequentati prevalentemente da persone di una certa età, spesso di origine italiana (chiamiamoli di seconda o terza generazione). La loro motivazione stava nel voler recuperare la lingua italiana che i genitori avevano impedito loro di imparare. Molto spesso infatti accade che un popolo che emigra impedisce ai propri figli d’imparare la lingua del paese d’origine perché la prima preoccupazione è l’integrazione. Ed è un fatto che soprattutto la seconda generazione non parla mai la lingua italiana perché non si parla neanche in casa. Al limite parla un dialetto. Arrivati alla terza generazione c’è una sorta di recupero d’identità. C’erano anche quelli che erano interessati alla lingua italiana perché avevano tempo libero per viaggiare. Quando sono arrivata la situazione era questa.
Poi, grazie all’appoggio preziosissimo del console generale, abbiamo fatto un gran lavoro d’informazione. Anche perché ci siamo accorti che l’Italia e alcune regioni in particolare sono i primi o al limite i secondi partners per l’import export per tutta la Francia, e in particolare per questa regione (PACA, Provence-Alpes-Côte d’Azur) e che in realtà la gente non lo sapeva. Siamo andati nelle scuole, abbiamo realizzato un pieghevole informativo (32mila copie) in partenariato con l’Associazione regionale dei professori d’italiano da distribuire nelle scuole. Poi, non contenti, abbiamo anche realizzato un dvd – presentato pochi giorni fa - per spingere i ragazzi allo studio della lingua italiana. Dopo sei anni di lavoro il pubblico dei frequentatori dei nostri corsi è molto cambiato. Intanto da cinque anni organizziamo anche corsi per bambini. Oltre a molti corsi per adulti in cui però è notevole la presenza dei giovani. Ci sono tanti studenti, persone che lavorano nelle banche, nei negozi, nel commercio in generale e negli ospedali.

Una sua impressione. Culturalmente come è percepito il nostro paese, quali gli aspetti di maggior successo?
Gli elementi di maggior successo sono la musica e il cinema. Il pubblico si è affezionato, ha imparato a frequentare l’Istituto. Abbiamo lanciato recentemente un cineclub in piena regola e il primo mercoledì di ogni mese proiettiamo una pellicola. Sempre in lingua italiana e sempre sottotitolata in francese. Quando è possibile cerchiamo anche di far intervenire il regista o l’attore protagonista del film. Per esempio il 13 giugno avremo l’omaggio a Comencini con lo Scopone scientifico.

Il pubblico dei vostri eventi. Quanti italiani e quanti francesi?
Impossibile quantificare con esattezza. Noto però che sempre di più ci sono sia italiani che francesi. Poi adesso c’è anche un nuovo pubblico italiano. Non è soltanto l’emigrazione di terza generazione, parlo di una vera e propria “nuova emigrazione” di giovani che qui vengono per esempio per ragioni di studio. Gente che partecipa al progetto Erasmus, ai programmi Leonardo, che è iscritta all’università, fa tirocini di medicina negli ospedali cittadini, giovani ricercatori che sono al centro nazionale delle ricerche, famiglie bilingui eccetera.

C’è una differenza nel “concetto d’Italia” tra le varie generazioni?
Certamente. La generazione che adesso ha tra i sessanta e gli ottanta anni, chi è venuto qui giovanissimo o addirittura è nato qui da genitori italiani ha in genere una visione dell’Italia che raramente corrisponde alla realtà. Tranne – è ovvio - quelli che ogni estate fanno viaggi in Italia. E chi ci torna molto raramente o mai ha conservato dell’Italia l’idea di quando l’ha lasciata. Poi c’è la fascia cinquanta-sessanta, che si avvicina alla cultura italiana per imparare quell’italiano che non ha potuto imparare in casa. Poi, i giovani di ultima generazione. Ed è ormai da tre o quattro anni che ci capita di accogliere giovani compagnie di danza o di teatro che vengono dall’Italia, compagnie di due o tre persone, alle quali diamo per un certo periodo di tempo anche alloggio in una piccola foresteria messa a disposizione dal Consolato. Elisabetta Stiroli, una giovane attrice di teatro che sta provando da noi da circa sei mesi. Giovanna Velardi, una danzatrice siciliana che abbiamo accolto diverse volte che va e viene dalla Sicilia e Francesca Mangano, un’attrice in questo momento impegnata con una compagnia locale in un lavoro su Pasolini.

L’italianità. Forse un termine ultimamente un po’ abusato, ma fa buon gioco per riassumere le mille sfaccettature della qualità “genetica” di tutto ciò (e di chi) è italiano. Come è percepito in Francia, a Marsiglia, questo concetto?
In questo momento l’Italia è terribilmente alla moda nel sud della Francia ed è molto apprezzata. E, a mio avviso, l’italianità è vista benissimo. Non abbiamo problemi particolari d’immagine: lo stereotipo dell’italiano “pizza e mandolino” è pressoché scomparso, magari resta ancora nella testa di alcuni italiani di una certa età, ma si tratta di persone legate a certo associazionismo per così dire “tipico”. I giovani invece non sono più legati ad associazioni di questo genere. I giovani italiani che si occupano di musica sono nelle associazioni musicali, chi si occupa di teatro nelle associazioni teatrali. Non fanno più associazionismo semplicemente perché “sono italiani”. Significa che si sono integrati molto bene nel tessuto sociale, e questo è positivo.

La sua esperienza marsigliese sta per concludersi. Un breve bilancio, una riflessione.
Sono contenta perché questo è un lavoro che ho scelto per passione. Certo, sono un amministratore, visto che amministro i fondi dello Stato e i fondi che riusciamo a far entrare, ho dei vincoli d’inventario, d’archivio e di contabilità, ma – ripeto - questo lavoro lo faccio perché ci credo davvero. Perché credo che attraverso la cultura sviluppiamo tolleranza, conoscenza e dialogo che secondo me è alla base di qualsiasi tipo di promozione culturale. Ne sono convinta: non può esserci cultura se non si è tolleranti, se non si è aperti, se non si va verso l’altro, verso il diverso. Altrimenti, a cosa servirebbe essere colti?

Sente nostalgia di qualcosa in particolare dell’Italia?
No, in realtà non mi manca niente. La famiglia, sicuramente. Poi, in un certo senso mi manca la Sicilia, la mia regione d’origine.

Il libro della vita?
Nessuno in particolare. Ho molta attenzione per la produzione letteraria femminile contemporanea. Non ho un “libro feticcio”, quanto piuttosto una serie di libri di carattere psicologico e sociale sui quali torno frequentemente. Un altro tema che m’interessa profondamente è quello della salute mentale e il lavoro che si può fare attorno al malato. Tra l’altro, recentemente abbiamo organizzato un convegno qui in istituto, abbiamo ospitato, da Reggio Emilia, la mostra Mura di carta (le opere dei ricoverati dell’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia dal 1895 al 1985) e abbiamo proiettato Padiglione 22, il primo film del giovane regista italiano Livio Bordone, che ha come tema appunto la salute mentale. Il convegno ha talmente colpito che la direzione sanitaria della regione ha contattato il console per chiedergli aiuto per creare contatti con la rete italiana per sviluppare le problematiche del tema della salute mentale. Questo lavoro è legato a una serie di traduzioni che abbiamo sostenuto grazie ai finanziamenti del ministero degli Esteri che hanno come tema la psichiatria. Uno di questi è per esempio Ritratto di Antonio Basaglia, psichiatra intempestivo

Immagini di avere di fronte “la sua comunità”. Cosa direbbe agli italiani (e ai francesi) che frequentano il suo Istituto?
Guardi, il 26 giugno farò la mia festa d’addio e la mia comunità ce l’avrò davanti. Dirò innanzitutto che lascio Marsiglia con molta nostalgia e che ci tornerò e dirò che quel che mi farebbe enormemente piacere è che questo istituto che è diventato un luogo aperto, un luogo d’accoglienza nel quale tutti si “sentono bene” continui ad essere così. E potrà esserlo soltanto attraverso percorsi di collaborazione tra la “squadra” dell’Istituto e il pubblico con la sua partecipazione.

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