lunedì 23 giugno 2008

Per esportare cultura servono fondi

Discussioni
di Giovanni Puglisi

Il Sole 24 Ore, 22 giugno 2008
Circa dieci anni fa un convegno, ben riuscito, alla Farnesina ebbe come titolo «La cultura italiana all'estero è politica»: per quel tempo l'affermazione apparve azzardata, oggi la cosa sarebbe del tutto normale. Eppure l'oggetto centrale del quel convegno costituisce ancor oggi ragione di polemiche (l'ultima, sollevata domenica scorsa da Riccardo Chiaberge), qualche volta a buon diritto, molte volte fuori luogo. Non ritengo infatti che sia mai il caso di sollevare polemiche in modo indistinto sulla rappresentanza culturale italiana all'estero. Sarebbe ingiusto per quanti, con senso di responsabilità, al centro e in periferia, si impegnano nella loro attività professionale; sarebbe demotivante per tutti coloro che in questi anni hanno cercato - con risultati apprezzabili, se confrontati con le difficoltà e, spesso, le distrazioni della politica economica - di reagire all'ineluttabilità della sorte o del momento avversi.
Il nostro Paese, infatti, non è grande e rispettato nel mondo perla sua stabilità economica e monetaria o per le sue scelte in materia di ricerca e innovazione tecnologica (investiamo in questi settori meno di alcuni Paesi in via di sviluppo!), bensì per il suo patrimonio culturale, storico-artistico, paesaggistico-culturale,
sia materiale che immateriale. È di qualche giorno fa la notizia che a Parigi, su due posti in palio, l'Italia è stata eletta al Comitato Intergovernativo per il Patrimonio Immateriale dell'Unesco con 77 voti, superando Cipro e la Norvegia, entrambi a 49 voti (quest'ultima alla fine ha preferito ritirarsi). Eppure le voci - e non solo - sulla riduzione degli investimenti in cultura, formazione e ricerca nel nostro Paese sono sempre più insistenti: ogni taglio finanziario li penalizza prima e più che qualsiasi altro settore della vita produttiva -giacché di produzione comunque si tratta. Gli Istituti di cultura all'estero non fanno eccezione, anzi a fronte di una competizione internazionale sempre più serrata sono, quanto meno, sempre fermi là dove li abbiamo lasciati l'anno precedente.
Più risorse finanziarie e umane, maggiore qualità, maggiori, energie appositamente reclutate, piuttosto che "riqualificate" da altre professionalità pur rispettabili, darebbero una vitale boccata d'ossigeno al sistema: come, forse, una legislazione rinnovata e più adeguata sarebbe necessaria per un'offerta culturale al passo con l'invadente "globalizzazione": occorre però fare attenzione a non buttare l'acqua con tutto il bambino. Oggi il sistema, con tutti i suoi difetti e nonostante le sue innegabili pecore nere, produce risultati degni di rispetto, se solo si considera - per esempio - che le entrate per corsi di lingua italiana organizzati all'estero da Istituti di cultura hanno largamente superato nel 2007 il significativo ammontare 15 milioni di euro. La coscienza dei propri problemi - e anche dei propri difetti - non si può, né si deve mai spingere fino al disfattismo: i successi all'Unesco dopo tutto debbono darci il coraggio e l'orgoglio della nostra identità, riconosciuta e apprezzata nel mondo, anche per merito di chi professionalmente se ne occupa alla Farnesina, negli Istituti di Cultura, nelle Ambasciate, negli organismi internazionali. Si, la cultura italiana all'estero è politica, e oggi più che mai.
Ma occorre anche selezionare meglio il personale addetto ai nostri Istituti, troppo spesso «riqualificato» da altri mestieri. Solo la qualità ci rende vincenti.

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